Una Gita a.....

Aosta e la sua Valle






Il bello di lavorare sui turni che coprono le 24 ore in tutti i giorni dell’anno, festività comprese, sta nel fatto che, a volte, ti può capitare di stare a casa il week-end ed anche il lunedì della settimana successiva, e così 3, 4 e 5 maggio è stato!

La voglia di evadere dalla caotica città e complice la previsione di giornate all’insegna del bel tempo hanno fatto il loro gioco e così eccoci a scegliere la meta del nostro viaggetto, tra le altre la sorte è caduta su quel di Aosta e la cosa, devo dire, si è rivelata molto felice.

Partiti nella tarda mattinata di sabato, siamo ad Aosta per l’ora di pranzo, rigorosamente “al sacco” come nella migliore tradizione delle gite.

Aosta, in epoca romana conosciuta con il nome di Augusta Praetoria sorge sulla riva sinistra della Dora Baltea alla confluenza con il Buthier ed è centro (sull’antica vie per le Gallie) tra i passi del piccolo e del gran san Bernardo che la collegano alla Francia e alla Svizzera, a cui si è aggiunto, con il famoso traforo, il collegamento con la Francia sotto il monte Bianco. Solo sotto? No, sopra lo stesso monte, tra Courmayeur e Chamonix esiste un collegamento teleferico in 6 tronconi, tant’è che è possibile lo scavalco del monte bianco in un ambiente di straordinaria bellezza e con tecniche di ardite invenzioni, vi basti pensare al “pilone sospeso” in un tratto dove era impossibile impiantare un pilone tradizionale per la cabinovia… e qui vi invito alla ricerca.

Ma torniamo ad Aosta, i pregressi romani sono ben documentati, ad esempio dal teatro romano ed anche da un anfiteatro, ahimè, non liberamente visitabile; ed anche da un arco monumentale detto “di augusto” che accoglie chi entra in città da oriente. Vi è anche un ponte di epoca romana sul Buthier che però nei secoli ha cambiato il suo corso ed ora… non vi passa più sotto. Ma Augusta Praetoria non è esattamente di origine romana, giacchè in località saint-Martin de Corleans vi sono dei resti megalitici risalenti al III millennio a.C..

Quello che non si può fare a meno di notare è il bilinguismo esistente in regione, anche se non completo ed assoluto, e così la “scuola” è anche “ecole”, la “polizia municipale” è anche “police municipale”, i “vigili del fuoco” sono i “sapeurs pompiers” e il “municipio” è anche l’ “hotel de ville”.

Completato il giro della città non ci è restato che cercare un posto per la notte, aiutati da una cortesissima addetta del punto di informazioni turistiche. Preso posto in albergo abbiamo deciso di andare a vedere i resti megalitici in saint-Martin de Corleans, ma il sito è in pieno rimaneggiamento e dell’area si può vedere solo un cantiere, tuttavia la passeggiata non è stata vana, nella vicina parrocchia di san Martino, ore 18.30 santa messa nella festa dell’Ascensione dopo di che siamo andati a mangiare, la serata, poi, si è conclusa con uno spettacolo in piazza di un gruppo che si è annunciato con i manifesti di “Arrivano i Beatles”.



Il secondo giorno, siamo andati a Introd verso il e nel Parco Nazionale del Gran Paradiso dove da pochi anni esiste un piccolo zoo, il anzi le parc animalier d’Introd, al suo interno alcuni animali della fauna montana, cervi, caprioli, stambecchi, gufi, civette e quant’altro, un simpatico diversivo ed un’interessante momento, soprattutto per i figli in età scolare e pre-scolare, di avvicinare, fin quasi toccare con mano questi animali, letteralmente liberi di interagire con l’uomo all’interno dei rispettivi recinti.

Ma il tempo passa e così eccoci a fare colazione, con l’immancabile sacco, all’interno del Parco Nazionale, sotto un sole che letteralmente cucinava, in una località della val di Rhêmes, una valle compresa tra le più note Valgrisanche e Valsavaranche.

Fatta colazione eccoci intenti a raggiungere un angolo molto suggestivo del nostro paese, la nostra meta è Courmayeur ma il nostro obiettivo è, almeno per vederlo da vicino, il monte Bianco, ed è così puramente e semplicemente maestoso che questo ci appare qualche chilometro prima di arrivare a Courmayeur, ben visibile dalla strada, la statale 26 “della valle d’Aosta” che abbiamo deciso di percorrere al posto della più veloce Autostrada 5. La statale dona con la sua velocità più lenta, un sapore diverso alla scoperta del viandante nel suo cammino, ed in occasione delle gite, nei limiti del possibile, è da preferirsi.

Giunti a Courmayeur ci rechiamo decisamente verso la val Veny e giusto sotto la cima di 4807-4810 (chi conosce la cifra esatta?) della vetta più alta d’Europa.

Iniziamo ad inoltrarci nella stretta strada che si addentra nella val Veny, consci di aver visto il cartello verde di strada aperta, ma fatto poco più di un chilometro, la strada si è presentata sbarrata da tre grossi cubi di cemento, ma non ci scoraggiamo, seppur non attrezzati, decidiamo di proseguire a piedi ed eccoci, dopo alcuni tornanti capiamo il motivo della chiusura (non segnalata in paese), la neve ha invaso la strada con dei cumuli che superano i due metri, cerchiamo di farci strada su un “versante” aperto e fangoso, ma proseguito ulteriormente la strada, abbiamo dovuto cedere al muro di neve che ci si è parato innanzi, occorrevano perlomeno i ramponi o le ciaspole, ma ahinoi, non avevamo ne i primi, ne le ultime e così, concluso in religioso silenzio la contemplazione della montagna, facciamo ritorno al paese ove assaporiamo un caro caffè, il tempo per la sosta del mezzo è tiranno, un’ora passa veloce e così eccoci di ritorno verso Aosta, un riposino e poi è arrivato il tempo di andare a mangiare, detto fatto, è scesa la sera sulla città, a piedi (Aosta si gira a piedi abbastanza agevolmente) facciamo rientro all’hotel, si è fatta l’ora di andare a nanna.



Terzo giorno, dopo la prima colazione lasciamo l’albergo e via statale ci rechiamo a Fènis, dove sorge uno degli innumerevoli castelli che sono disseminati per tutta la valle, ma questo castello, in ottime condizioni, è un’ottima occasione per riscoprire il modo in cui si viveva durante l’alto medio evo ed una fonte di interessanti considerazioni sull’amministrazione della bassa giustizia, sugli armamenti, sulla vita “cortigiana”, ma anche sul declino di una famiglia, gli Challant, di cui la regione autonoma della Valle d’Aosta ha conservato due dei tre colori della dinastia; lo stemma degli Challant era costituito da uno scudo bipartito rosso in alto e bianco in basso listato di una banda nera discendente, oggi la regione ha nella sua bandiera i colori rosso e nero, mentre lo stemma è rappresentato dal leone bianco in campo nero con lingua e artigli rossi, questo dice quale “potenza” fossero gli Challant per la valle d’Aosta, al punto che il castello di Fénis, ancorché cintato da una doppia cerchia muraria, non doveva essere altro che una residenza di prestigio per i proprietari, che di castelli in valle e anche fuori ne avevano diversi.

Il castello sorge su una piccola collinetta, non in posizione preminente e non sembra abbia mai subito attacchi o assedi, era dotato di una robusta guarnigione di soldati in quanto vi si amministrava la giustizia e comunque la “potenza” del signore locale era denunciata più dalla torre colombaia che dai soldati di stanza. La torre colombaia, era destinata alla cura, allevamento e sosta dei colombi o, meglio ancora, piccioni, i famosi piccioni viaggiatori, erano questi, in tempi antichi, i messaggeri che portavano dispacci di vitale importanza da una sede all’altra dei possedimenti del potente del luogo. L’interno del castello presenta sale destinate ai più svariati usi, presenta alcuni mobili originali, tra i quali delle sedie a tre gambe.

Le sedie e gli sgabelli a tre gambe sono un’eredità lasciataci dai romani, oggi i pavimenti delle nostre case sono pressoché orizzontali, ma un tempo no. Sedie, come noi le intendiamo, con quattro gambe, finiranno per “ballare”, non saranno stabili, mentre se le gambe sono solo tre… provare per credere!

La cappella e il cortile risultano finemente affrescate con dipinti di vario genere e la visita ha regalato un momento di relax e di cultura, ma il giro è finito troppo presto per mangiare (al sacco) e troppo tardi per dire di rientrare a casa, valutate le alternative ci siamo rimessi in marcia e, questa volta via autostrada, siamo arrivati a Pont-Saint-Martin, ultimo comune della Valle d’Aosta prima del Piemonte, sul fiume Lys.

Pont-Saint-Martin deve il suo nome alla presenza da circa due millenni, di un ponte romano, la cui costruzione durante il medio evo è stata attribuita al diavolo, che ingannato da san Martino di Tours costruì il ponte in una notte. La leggenda vuole che san Martino si trovasse a passare da quei paraggi quando un’esondazione del Lys fece crollare il ponte di legno ivi esistente, l’accoglienza che la popolazione riservò al santo fece si che lo stesso “intercedesse” per la costruzione di un magnifico ponte nei confronti del demonio, il prezzo che il diavolo chiese fu che il primo a passare sul nuovo ponte sarebbe stato di sua proprietà, fu così che il patto fu sancito e in una notte satana costruì il ponte, al mattino la popolazione si radunò davanti al nuovo ponte, ma prima che qualcuno potesse attraversarlo Martino lanciò sul ponte un pezzo di pane e liberò un cane, che si buttò sul prelibato boccone, il diavolo, infuriato per essere stato giocato, dilaniò il povero animale e si volse a distruggere la sua opera, ma san Martino, presa una croce, la pose in centro al ponte e il diavolo sparì per sempre.

Non si conosce la datazione esatta del ponte, ma una targa nei pressi di questo ci dice che nel 1990 è stata celebrato l’anniversario bimillenario del ponte stesso.

Alla visita del borgo ne è seguita la colazione e dopo un po’ di gioco libero, ci siamo rimessi in cammino in direzione di Aosta, sulla statale, pochi chilometri ed eccoci a Donnas patria di uno dei vini doc della Vallée, qui sulle tracce della antica via consolare per le Gallie, purtroppo i lavori di ristrutturazione della cittadina hanno letteralmente precluso la visita, ci fermiamo per un caffè ed un gelato ai bimbi in un bar dove una barista gentilissima ci da interessanti spunti per la visita di altri siti in valle (in special modo al forte di Bard, che ci riserviamo di visitare) ma il tempo tiranno ci spinge a riprendere la strada, non prima però di una visita ad un museo sul fronte opposto della strada, museo di viticoltura e vino, dove un’altrettanto gentilissima signora ci spiega i “segreti” della produzione del Donnas o come molti lo conoscono del Donnaz.

Ma il tempo è veramente finito, lasciata la valle l’autostrada ci porta veloci verso casa. La breve feria è finita, domani torniamo al tram tram quotidiano, almeno fino alla prossima gita.



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19 aprile 2008
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